Insieme

Avvento di Carità (5). Si sono ubriacati di mosto!

Siccome sono consapevole di dover trattare una questione importante, ma troppo spesso ridotta a luoghi comuni, non ho trovato modo migliore per introdurla, se non partendo dalla finale della Pentecoste.

Eh sì, è proprio così! Questa è la vera finale, che potete verificare personalmente in At 2,13. È interessante sottolineare come Luca evidenzi con questa strana annotazione il fatto che, per il “mondo” di allora e di sempre, quell’evento meraviglioso non venne compreso in tutte le sue conseguenze, bensì ridotto ad una battuta tipica dei nullafacenti da bar.

Ma che cosa era successo di così straordinario ed incomprensibile ad un tempo? La cosa più semplice ed al tempo stesso più rara che esista: degli uomini e delle donne con poco o niente in comune, neanche la lingua, erano riusciti ad intendersi ed a comunicare. Forse qualcuno penserà che sto esagerando e non capisce dove stia il problema. In fondo cos’è successo di straordinario? In effetti è successa la cosa più semplice e naturale, che possano fare degli esseri umani. Purtroppo invece, dalla torre di Babele in qua, pare che sia la cosa più difficile da realizzare, nonostante gli innumerevoli corsi di lingua, o i vari traduttori informatici.

Infatti, oggi come a Pentecoste, il problema non è tecnico, ovvero il conoscere o meno i segni ed i suoni di tutte le lingue del mondo. Il problema sta nel nostro cuore e nella nostra libertà. Una mamma ed un papà comunicano molto meglio con il loro bambino appena nato, che non quando ha 15-16 anni. Perché la comunicazione va ben oltre il linguaggio parlato e rimanda soprattutto all’apertura dei cuori. Io ho capito questa Verità, quando ho visto molti anni fa mia mamma comunicare con una signora marocchina analfabeta, nel senso che non sapeva, né leggere, né scrivere, nella sua lingua materna. Mia mamma dal canto suo ha frequentato solo la quinta elementare. Eppure comunicavano e si aiutavano reciprocamente.

L’evento della Pentecoste, nella sua essenza, non è altro che questo. Ma come ben sappiamo è questo evento che porta la Chiesa alla sua piena maturità. In altre parole, la Chiesa è per sua propria natura il luogo dove le differenze vengono trasformate dallo Spirito del Risorto in opportunità d’incontro e di comunione. Conseguentemente laddove le diversità divengono resistenze all’incontro ed alla comunione, ebbene lì certamente non c’è la Chiesa di Gesù Cristo. Potrà esserci un agglomerato di persone devote, o qualche giuda di turno, che vuole approfittarsi di Gesù per fini personali, o politici. Certamente, però, non c’è la Chiesa di Gesù Cristo.

Per essere Chiesa di Gesù Cristo vorremmo affiancare alla Caritas un gruppo di persone che, per sensibilità ed interesse, aiutasse l’intera Comunità Cristiana nel dialogo e nell’accoglienza dei migranti, presenti nella nostra Comunità Pastorale. Innanzitutto deve essere ben chiaro che queste persone non dovranno risolvere tutti i piccoli, o grandi, problemi quotidiani dei migranti. Invece, si tratta di sviluppare tutte le possibilità d’incontro e di collaborazione tra chi è di origine italiana e chi è arrivato in Italia solo da qualche mese, o qualche anno.

Pertanto, non si tratta di “italianizzare” i migranti, o di “islamizzare” gli italiani, come dice qualcuno. Si tratta, invece, di favorire a tutti i livelli possibili quell’incontro fecondo, dal quale entrambe le parti possano essere contaminate. Nella certezza che nel giro di qualche anno la nostra Comunità Pastorale sarà molto più variopinta e variegata. E allora, forse, anche le nostre Comunità cristiane saranno più festose e poco c’importerà se verremo scambiati per ubriachi…

don Marco