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Epifania. Le nozze di Cana il vino buono della benedizione di Dio

Nella Bibbia il vino è sempre simbolo della benedizione di Dio. Anche l’immagine sponsale percorre tutta la Bibbia, per indicare la relazione di amore tra Dio, lo Sposo, e la sua sposa che è il suo popolo. Se andiamo a rileggere il racconto del primo segno (= miracolo) compiuto da Gesù a Cana di Galilea, sostituendo ai termini sposi e vino il rispettivo significato, ecco che qualcosa di più profondo emerge con chiarezza dalla narrazione.

Nel rapporto sponsale, di amore, tra Dio e il suo popolo, è venuta a mancare la benedizione di Dio. E non perché Dio è uno sposo capriccioso che ha smesso di amare la sua sposa. Chi si è allontanato da Lui, chi è stato infedele e dice “no” a Dio è il popolo, è l’uomo, siamo noi!

Non poteva che essere Maria, la donna del “sì”, colei che ha compreso l’amore di Dio e l’ha sperimentato per sè, ad accorgersi di ciò che manca. E Lei, che ha trovato l’amore di Dio nell’obbedienza alla sua Parola, mostra la stessa strada a quanti stanno attorno a Gesù: “Quello che vi dirà, fatelo!”. E per questa obbedienza (= dal latino ob-audire, ascoltare chi ti sta davanti) ecco il dono inatteso, immeritato, e sovrabbondante del vino nuovo e più buono. E i cuori tornano a gioire, e la vita rifiorisce. Perché in Gesù, ac-colto nella scelta libera di ascoltare la sua Parola, la benedizione di Dio può scendere fin nel cuore dell’uomo; in Gesù il legame sponsale di amore tra Dio e il suo popolo porta frutti di vita nuova, in una comunione rinnovata.

Ci sono poi le sei giare. Perché proprio 6? Il numero della pienezza nella Bibbia è il sette! Sono gigantesche: contengono da 80 a 120 litri cadauna.

Ma sono vuote… Servivano per la purificazione rituale, ma sembrano abbandonate, in disuso. Sono simbolo del tentativo fallito, enorme, ma vano, dell’uomo di tornare a Dio attraverso l’impegno e l’osservanza delle pratiche religiose. Ma sono vuote: l’uomo si è ormai rassegnato alla propria condizione di bruttezza e di lontananza da Dio. Tutti gli sforzi, i buoni propositi e l’impegno non conducono alla pienezza (il sette), alla fine sono sempre insufficienti e manchevoli (sono solo sei…)

Gesù, che nell’ultima cena benedice la coppa del Vino nuovo e lo offre come suo sangue per la nuova ed eterna alleanza; Gesù, crocifisso, dal cui fianco squarciato esce sangue e acqua; è quel Gesù che alle nozze di Cana compie il miracolo del vino nuovo: Lui è la settima giara, quella mancante. E’ grazie a Lui, non per i nostri meriti e i nostri sforzi, che noi possiamo tornare al Padre ed essere presentati al suo cospetto. E’ in Lui che si compie la nuova ed eterna alleanza, quella già promessa da Dio ai tempi del profeta Osea, cantore dell’amore di Dio per il suo popolo: “Ti farò mia sposa per sempre” (Osea 2,21).

C’è un ultimo particolare, non meno curioso. Per compiere il miracolo, Ge-sù non può fare a meno dei servitori, perché portino in tavola il vino nuo-vo. Al capitolo 6 dello stesso vangelo di Giovanni, quando si racconta della moltiplicazione di pani, Gesù non può fare a meno dei discepoli, ai quali consegna i pani perché vengano distribuiti. Perché l’amore di Dio e la sua benedizione arrivino all’umanità, occorrono discepoli e servitori: uomini e donne che come Maria, ascoltano la Parola e se ne lasciano riempire.

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli mani-festò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2,11). Alla luce dei vangeli dell’Epifania, che cosa significa, allora, essere credenti? Forse non si tratta di partire da noi, da quello che dobbiamo fare, dai segni che la co-munità cristiana deve dare. Senza la benedizione di Dio tutto questo è sterile, il pane e il vino non diventano Corpo e Sangue di Cristo; i Sacramenti perdono la loro efficacia salvifica e rimangono segni posti da uomini. Prima di ogni cosa, è necessario mettersi in ascolto, e accogliere la Parola, e riconoscere i segni di Dio nella storia, perché la benedizione di Dio scenda su di noi e sulle nostre opere, e faccia emergere quel vino buono che c’è in ciascuno di noi. Altrimenti…. mancherà sempre qualcosa.

don Andrea