Insieme

Dentro la bolla di una contraddizione

Nella pagina di Luca che viene proclamata questa domenica, Gesù perdona una pubblica peccatrice in casa di un notabile fariseo, generando scompiglio tra tutti i farisei presenti attorno a quella tavola. Di fatto, in tutti i Vangeli, ogni volta che Gesù parla e agisce in nome del Padre, mosso dallo Spirito Santo, c’è qualcuno che rimane meravigliato, e qualcun altro – soprattutto la classe sacerdotale e quella degli scribi e dei farisei (catechisti e i “praticanti zelanti”) – che entrano in conflitto con Gesù. Sarà la domanda di un uomo posseduto da uno spirito impuro a dare voce a tutto il malcontento che serpeggia per l’insegnamento nuovo di Gesù, che ha una Parola tagliente, così diretta alla vita e così capace di sfidare gli alibi, le paure, la false certezze, il quieto vivere e le mediocrità, al punto da essere Parola che scomoda e disturba. L’indemoniato grida a Gesù: “Cosa vuoi da noi? Sei per caso venuto a rovinarci?”.

Già: Gesù non solo viene scomodare i peccatori e richiamarli a Dio. Egli è venuto anche a scuotere la tranquilla religiosità degli scribi, che insegnano una dottrina per lo più astratta e non incisiva nella vita, che non scalda il cuore, e non offre parole di vita e di verità a chi ascolta.
Qualcosa del genere sta accadendo anche ai nostri giorni. In genere, quando la Parola scomoda non solo la nostra vita personale ma anche quella ecclesiale e ci chiede cambiamenti di rotta, sovvertimenti di schemi, ribaltamenti di prospettive e trasformazione di sogni, alziamo delle barriere per difenderci, per neutralizzarla, per renderla meno innocua. Talvolta, la difesa non ha bisogno di respingimenti espliciti e accaniti: basta tacitare, rimandare, far finta di nulla, aspettare che passi e, intanto, continuare a far finta di nulla, aspettando che le cose tornino come prima.

Questo diffuso atteggiamento serpeggia talvolta nelle comunità cristiane a tutti i livelli, interessando vescovi, preti, religiosi operatori pastorali. Il rischio è quello di galleggiare dentro la bolla di una contraddizione: tutti vedono che le cose non vanno, ma quando si tratta di cambiarle nessuno vuole farlo più. Laddove il “tutti vedono” rischia semplicemente di dar voce a quello che papa Francesco ha chiamato «senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati, dalla faccia scura» (Evangelii gaudium, n. 85), mentre la paura di cambiare genera l’immobilismo spirituale e pastorale.

I problemi, nella Chiesa italiana, non mancano, certamente oggi accentuati dalle condizioni post-Covid, che stanno rimescolando la vita delle persone e pongono alcuni interrogativi alla nostra azione pastorale. Non mancano neanche le lamentele per le cose che dovrebbero cambiare e, allo stesso tempo, quell’alibi di sottofondo che accompagna questo sentimento di insoddisfazione e che ci fa spostare sempre in avanti il giorno in cui questo cambiamento deve effettivamente iniziare a realizzarsi.

Nel contesto del tempo in cui viviamo, dove come Chiesa portiamo sulle spalle e con fatica un compito oggi diventato più complesso, la voce di papa Francesco non smette di inquietare, di provocare, di scuotere le nostre abitudini consolidate, di spezzare il circolo chiuso di certi nostri schemi pastorali ed ecclesiali e, soprattutto, di invitarci a immaginare con creatività strade nuove.

Il Sinodo che in questi giorni il Papa è tornato con forza a domandare per la Chiesa italiana come già cinque anni fa, al Convegno di Firenze, non è la solita riunione dove si parla di tante cose e non si decide mai niente per il rinnovamento della vita della comunità. E’ innanzi tutto un’esperienza spirituale che implica l’ascolto della voce dello Spirito Santo – Colui che guida la Chiesa – e l’autentica attitudine al dialogo, che sottintende un comune punto di partenza: siamo in cammino alla ricerca della verità e nessuno, neanche da posizioni gerarchiche particolari, ha soluzioni in tasca. Questa è la modalità che la Chiesa, fin dai primi secoli, ha scelto per ritrovarsi e dibattere, ed è il modo fruttuoso che porta a un confronto vero e a scelte significative che si concretizzano nella reale vita ecclesiale.

don Andrea