Insieme

Perché state a guardare il Cielo?

Come è difficile avere a che fare con un Dio così diverso da come ce lo si sarebbe aspettato. Fin dalla rappresentazione della sua nascita l’abbiamo immaginato dentro i contorni di uno spazio chiuso (presepe = luogo recintato, circondato da una siepe). E così, gli stessi apostoli, forse avrebbero preferito la Croce e un sepolcro con un cadavere: almeno potevano guardare e toccare il Maestro, imbalsamarlo e ungerlo, adorarlo e parlargli.

Inutile nasconderlo: abbiamo tentato anche noi, lungo i secoli, di imprigionare Dio nelle riflessioni teologiche, dentro le nostre chiese, negli affreschi, nelle statue… un Dio di pietra come i vecchi idoli pagani, da possedere, a cui esprimere le nostre devozioni, cantare attorno, supplicare, Un Dio da esporre in Chiesa o da tirare in ballo in ogni occasione: politica, religiosa, pastorale… E invece Lui, Dio, se n’è andato, si è sottratto ai nostri sguardi, è salito al Cielo. Perché non ci vuole Chiesa chiusa, ripiegata su se stessa, che sosta presso i sepolcri del passato che parlano solo di cose morte…

Il ricordo del Maestro amato, come dei nostri cari morti che sono “andati in cielo” assomiglia più a un rimpianto, che a una nostalgia. C’è differenza? C’è, eccome! Il rimpianto è pagano e ci rinchiude nella prigione di un passato dove abbiamo lasciato cose antiche e i nostri cari, portandosi via, tante volte, anche la voglia di vivere e di andare avanti di chi resta in questa vita. La nostalgia, invece, è cristiana: è il ricordo di qualcuno o qualcosa incontrato nel passato, che ci accende del desiderio di rivivere esperienze e rivedere le persone in un futuro che si spera prossimo, e ci mette in moto per preparare il momento del nuovo incontro.

Nella festa dell’ascensione Gesù sembra dire ai suoi: “Ricorda, Pietro: il Maestro ti ama e tu pascolerai le sue pecore. Ricorda, Giovanni, che hai messo il capo sul suo costato e hai raccolto il battito di un cuore strano.

Ricorda, Tommaso, che hai dubitato perché volevi vederlo, e adesso che l’hai visto non vuoi perderlo mai più. Ricorda, Filippo, che chiedesti di vedere il Padre. Ricorda, Giacomo, la voglia di montare tre tende sul Tabor quella volta della trasfigurazione. Ricorda Matteo, quel banco delle imposte abbandonato per seguire il Maestro. Ricorda, don Andrea… e tu… e voi tutti… ricordate e… partite!”.

Nell’ultima orazione della messa di questa festa dell’Ascensione, si prega così: “Nello slancio della sua ascensione all’alto dei Cieli, il tuo Figlio, o Dio, ha potentemente tratto con sé anche noi, liberandoci dalla schiavitù…”. Insomma, mentre finisce la forma di una storia (quella chiusa nell’angusto recinto tra la nascita e la morte biologica) inizia “un’altra forma” della stessa storia: nell’una e nell’altra Gesù è il racconto definitivo di Dio, il raccordo tra la terra e il Cielo,

Colui che rende possibile che il rimpianto pagano, diventi nostalgia, che accende e dà la forza per andare avanti. Anche a noi è rivolta la domanda degli angeli: «perché state a guardare il cielo?» (At 1,11). Questo non è un invito a guardare solo le cose della terra, ma un monito a non cercare più di rinchiudere Dio nelle forme rassicuranti, ma chiuse, con cui i discepoli e noi abbiamo fatto esperienza di Dio nella storia.

Con la Resurrezione di Gesù la vita non si consuma tutta sotto un cielo chiuso. Nella sua ascensione Gesù riapre il cielo, e ci libera dalla schiavitù delle cose e della vita che finisce. Gesù non va cercato presso un sepolcro, né alzando gli occhi verso l’alto per carpire un’apparizione, o presso qualche statua di altare: egli va ormai cercato nella comunità cristiana, nell’Eucaristia, negli uomini e nelle donne che, in condizione di ultimi, attendono da noi «il servizio del fratello» in cui Gesù ha voluto rendersi presente (Mt 25,31-46). È così che possiamo vivere il nostro essere cristiani: portare la benedizione di Gesù, anticipare la venuta del Regno e rendere la vita di ogni uomo degna di essere vissuta, proprio come ha fatto Gesù.

Perché tutto e tutti passeranno in Gesù al Padre, e nulla e nessuno andrà perduto. Tutto questo nell’ascolto dello Spirito santo.

don Andrea