La solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo riunisce in un’unica celebrazione Pietro – il primo discepolo chiamato da Gesù nelle narrazioni dei vangeli sinottici, la roccia della chiesa – e Paolo, che non fu discepolo di Gesù, né fece parte del gruppo dei dodici, ma che è stato chiamato “l’Apostolo”, il missionario per eccellenza.
Gli scritti del Nuovo Testamento non raccontano la loro fine, ma un’antica tradizione li vuole martiri, nella medesima città, Roma, e nello stesso giorno, vittime delle persecuzioni contro i cristiani: due vite offerte a causa di Gesù e del Vangelo. I due apostoli sono così accomunati nella celebrazione liturgica, dopo che le loro vicende terrene li hanno visti anche opporsi l’uno all’altro: una comunione vissuta alla luce della testimonianza evangelica e, proprio per questo, non sempre facile, anzi, sovente faticosa.
Il bassorilievo in calcare conservato ad Aquileia, così come l’iconografia tradizionale che narra l’abbraccio tra i due, vuole esprimere proprio quella comunione a caro prezzo che garantì l’opera di ciascuno dei due come fondamento della chiesa di Roma, il luogo dove ebbe fine la loro corsa, il luogo che li vide entrambi martiri al tempo di Nerone, messi a morte per la stessa motivazione.
Pietro diverrà l’apostolo di Gesù, prima a Gerusalemme, poi presso le comunità giudaiche della Palestina, poi ad Antiochia e infine a Roma, dove a sua volta deporrà la vita sull’esempio del suo Signore e Maestro. E a Roma Pietro ritroverà anche Paolo: non sappiamo se nel quotidiano della testimonianza cristiana, ma certamente nel segno grande del martirio.
Paolo, “l’altro”, l’apostolo differente, posto accanto a Pietro nella sua alterità, quasi a garantire fin dai primi passi che la chiesa cristiana è sempre plurale e si nutre di diversità. Giudeo della diaspora, originario di Tarso, capitale della Cilicia, salito a Gerusalemme per diventare scriba e rabbi al seguito di Gamaliele, uno dei più famosi maestri della tradizione rabbinica, Paolo era un fariseo, esperto e zelante della legge di Mosè, che non conobbe né Gesù né i suoi primi discepoli, ma che si distinse nell’opposizione e nella persecuzione verso il nascente movimento cristiano. La sua passione, la sua intelligenza, il suo impegno ad annunciare il Signore Gesù traspaiono da tutte le sue lettere e anche gli Atti degli apostoli ne danno sincera testimonianza.
È lui, per sua stessa definizione, “l’apostolo delle genti” come Pietro è “l’apostolo dei circoncisi” (Gal 2,8). Pietro e Paolo, entrambi discepoli e apostoli di Cristo, eppure così diversi: Pietro un povero pescatore, Paolo un rigoroso intellettuale; Pietro un giudeo palestinese di un oscuro villaggio, Paolo un ebreo della diaspora e cittadino romano; Pietro lento a capire e a operare di conseguenza, Paolo consumato dall’urgenza dell’imminente avvento del Regno.
Dice un prefazio gallico del VII secolo: “Pietro ha rinnegato per credere meglio, Paolo è stato accecato per vedere meglio … l’uno apre, l’altro fa entrare: entrambi ricevono il Regno eterno”. Sono stati apostoli con due stili differenti, hanno servito il Signore con modalità diversissime, hanno vissuto la chiesa in un modo a volte dialettico se non contrapposto, ma entrambi hanno cercato di seguire il Signore e la sua volontà e insieme, proprio grazie alle loro diversità, hanno saputo dare un volto alla missione cristiana e un fondamento alla chiesa di Roma che presiede nella carità.
Insieme allora è giusto celebrare la loro memoria, che è memoria di unità nella diversità, di vita consegnata per amore del Signore, di carità vissuta nell’attesa del ritorno di Cristo. L’iconografia li rappresenta stretti in un abbraccio oppure mentre sostengono l’unica chiesa che insieme hanno contribuito a edificare: una sinfonia che è memoria e profezia dell’unica comunione ecclesiale in cui Pietro deve abbracciare Paolo e Paolo deve abbracciare Pietro.
don Andrea