Insieme

Quale forza per la vittoria

L’episodio raccontato nella prima lettura della messa di questa domenica, tratta dal libro di Giosuè, riguarda una battaglia, una delle tante narrata nell’Antico Testamento. Giosuè, successore di Mosé, sta conducendo il popolo di Israele nella Terra promessa. Una coalizione di regni della terra di Canaan, ostile all’insediamento di Israele, muove guerra contro il regno di Gabaon che, invece, aveva stipulato una pace con gli Israeliti. Questi, in forza di quell’alleanza, vengono in aiuto a Gabaon, infliggendo ai nemici una grande sconfitta. Tutto si svolge in favore di Israele.

Persino lo scorrere del tempo subisce un’insolita sosta, allungando il giorno: «Né prima né poi vi fu giorno come quello». Come siano andate esattamente le cose, il testo non lo dice. Ciò che invece è chiaro nelle intenzioni dell’autore sacro è mostrare come la vittoria avvenga per opera del Signore. È Lui che «combatteva per Israele». Israele sperimenta la presenza potente del Signore nella vittoria sul nemico. Questa esperienza di Israele contiene, però, un’ambiguità: quella per cui la vittoria è ottenuta dal Signore attraverso la forza.

Per superare questa ambiguità è necessario – dicono i Padri – leggere l’Antico testamento alla luce del Nuovo. E il Nuovo testamento è Gesù, che rivela il volto del Padre e la sua vera identità. È in lui che la presenza di Dio nella storia degli uomini brilla senza ombre. Nel brano del Vangelo di Giovanni proposto dalla liturgia di questa domenica, Gesù afferma il suo successo: «Io ho vinto il mondo!». E’ una dichiarazione di vittoria, che Gesù proclama alla tavola dell’ultima cena, nel contesto della sua imminente passione e morte. Gesù invita i suoi discepoli e noi credenti a riconoscere egli eventi dolorosi della sua passione la gloria di Dio, ovvero il suo manifestarsi potente: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te». Noi che conosciamo i fatti della passione sappiamo che in essi viene ribaltata la logica che lega vittoria e violenza. Secondo questa logica la passione di Gesù è una sconfitta.

La forza del male schianta Gesù: per Lui nessuna vittoria che viene dalla forza. Un’altra è la logica che Gesù afferma vincendo il mondo mediante la croce: quella che lega vittoria e amore. Il potere che Gesù, il Figlio di Dio, esercita su ogni essere umano, quel potere che il Padre gli ha dato non è il potere della forza violenta, ma dell’amore tenace, quell’amore che non conosce sconfitta perché non c’è situazione in cui possa venir meno.

Ci vuole una fede grande per credere alla vittoria dell’amore e non cedere all’evidenza della vittoria mediante la prepotenza della forza, che in modo violento schiaccia l’altro. E’ la fede che anima Paolo nel passaggio della Lettera ai Romani proposta come seconda lettura. In una situazione segnata da prove e da continue minacce di morte a causa della sua predicazione, Paolo fa sue le parole del Salmo 44: «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello».

Nelle sue tribolazioni, Paolo canta la vittoria dell’amore: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore».

La vittoria dei credenti non è, dunque secondo la logica del mondo, per la quale il vincente è colui che schiaccia con la propria forza tutti gli altri; e non è il raggiungere uno stato di vita ove c’è assenza di tribolazioni. La vittoria dei cristiani è di essere amati da Cristo con un amore che nulla può sconfiggere.

E’ questa la fede di Gesù: affidarsi all’amore del Padre e credere che nulla lo può spezzare.
Questa fede diventa la fede di Paolo.
Questa fede nella forza dell’amore di Dio può diventare la nostra fede.

don Andrea