Insieme

Il rischio di essere anche noi come i figli di Zebedeo

I due figli di Zebedèo (Giacomo e Giovanni) – come del resto gli altri discepoli – nella pagina del Vangelo di Marco proposta nella liturgia di questa domenica non comprendono le parole di Gesù, che per la terza volta annuncia loro il compimento di tutta la sua esistenza vissuta nel segno del dono di sé sulla croce. I due esigono (“vogliamo che tu ci faccia…”) ruoli che non hanno significato nell’approccio alla Vita che propone il Signore, ma che piuttosto rivelano la loro mentalità ancora secondo le logiche del mondo. I due pretendono, infatti, posizioni di prestigio a fianco di Gesù, compreso come messia violento, guerriero e portatore dell’autonomia di Israele dal potente impero di Roma che lo domina. Ma la gloria di Gesù non è quella mondana che sta nei palazzi del potere o ai vertici delle classifiche, ma – come dirà subito dopo – in una vita che serve.

Essi potranno sicuramente bere il “calice amaro” della sofferenza se seguiranno fedelmente Gesù, ma com’è possibile pretendere di stare alla sinistra e alla destra di Gesù? Gesù risponde loro con un esplicito riferimento al battesimo, ovvero, all’immersione: chi decide di seguire Gesù, lo farà immerso nella storia e quindi anche nella sofferenza, nella croce, senza cercare scorciatoie o fughe momentanee.

Nella seconda parte del testo, Gesù chiarisce le prese di posizione e la prassi che chiede la sequela di Lui e della sua croce. La contrapposizione con i “capi delle nazioni”, smaschera il mito che si era coltivato in Israele nell’attesa di un “messia guerriero e violento che potesse sconfiggere i nemici con potenti carri e cavalli”. Il discepolo, accogliendo la testimonianza ed il messaggio di Gesù, non deve essere dominatore ma “servo di tutti” e portatore della Pace ricevuta in dono.

Nella nostra società e nelle nostre chiese ancora troppo impregnate di pesanti disuguaglianze, d’immagine e di apparenze, di pettegolezzo e di anonimato; ripartire dal “servizio a tutti” è schierarsi con la croce di Gesù, poiché significa andare con decisione controcorrente riportando la Vita umana al centro di ogni opzione e di ogni frangente dell’esistenza. Le croci non potranno mai eliminare la Pasqua ed il trionfo della Vita; anche se le croci però, non sono sempre così facili da accogliere. Le testimonianze lasciateci da Gesù manifestano la coerenza tra la sua Parola e le sua Vita. Il racconto della “lavanda dei piedi” (Gv 13,1-17) è il testo che immediatamente mostra cosa comporta l’assunzione della croce, però è anche il distintivo per ogni cristiano: “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14).

“Dominare” è in netto contrasto con “servire”; così come si contrappongono le iniziative imposte “dall’alto” con quelle sorte ed articolate “dal basso”. Su questo principio si fonda la Chiesa della sinodalità che emerge dal Concilio Vaticano II, e che papa Francesco chiede di attuare come segno dei tempi: nessuno è più in alto degli altri nella Chiesa, ma tutti insieme, sacerdoti, laici e consacrati, si mettono in ascolto del Vangelo per leggere il vissuto personale e la storia, e per operare all’instaurazione del Regno di Dio su questa terra.

Per Gesù, accogliere la croce non è passività, ma è far causa comune con tutti – a partire da chi vive in condizioni disumane – per camminare insieme costruendo il Suo Regno di giustizia e di pace. Non si tratta quindi di opinioni personali, di sensibilità, di chiodi fissi di qualcuno, di stati d’animo, di sete di nuovismo, di spazi ed opportunità da offrire agli specialisti della missione: la Chiesa non ha altro modo di esprimersi. Essere comunità di credenti è camminare con Gesù di Nazareth!

Ognuno di noi è chiamato/a ad “essere grande”: ad uscire, cioè, dalla stagione della fanciullezza (non quella anagrafica), in cui si è capaci solo di “pretendere” attenzioni e di vedere solo se stessi, per incamminarsi verso la stagione della maturità, dove ci si assume la responsabilità degli altri e ci si gioca nel servizio alla gioia comune. C’è tutta l’umanità che sta aspettando il momento in cui cominceremo ad essere “servi di tutti”.

don Andrea