Il passo del Vangelo di questa domenica (Mc 8,34-38) è l’unico punto nel Vangelo in cui Gesù convoca la folla. Non è la folla che lo segue, come dalle altre parti, Lui la chiama insieme ai discepoli: ha da dire una parola definitiva, dalla quale Egli stesso non può tornare indietro e dalla quale neanche chi lo voglia seguire potrà tornare indietro se è un suo discepolo…
E allora dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a Me», se qualcuno vuol esser coinvolto con la mia vita, se qualcuno vuol essere mio discepolo, «rinneghi se stesso» (8,34), cioè “smetta di bastare soltanto a se stesso”. Questo è il punto per Gesù: uno non può pensare solo a sé, fare del suo “io” il padrone di tutta la vita e della vita degli altri.
L’amore di sé stessi porta al narcisismo, all’egoismo, all’autoaffermazione, ci può portare addirittura alla follia, quando noi diventiamo persone che vediamo solo noi stessi e non guardiamo più gli altri (soprattutto i poveri, gli umili, le vittime, i fragili, i sofferenti, chi non ce la fa….). Presi in una vertigine di potere, presi in una vertigine di successo, presi in una vertigine di arroganza, o di “innocua” indifferenza, passiamo oltre tutto ciò che non ci rispecchia, o in cui non ci specchiamo.
In questa cultura che esalta l’“io” allo stato puro, cioè slegato da tutto e da tutti, dalla sorte del mondo e da quella del prossimo, e perfino – ormai – dalla propria identità di genere, accogliere le parole di Gesù come pregnanti per la propria vita costituisce non solo una scelta di fede, ma una rivoluzione culturale: significa abbandonare lo stile di vita, il modo di pensare e di scegliere, il rapporto di “consumo” del creato e del prossimo.
Gesù dice: “No, questa non può essere la via di chi vuol essere mio discepolo!”.
Un attimo prima, mentre ancora erano per strada e c’erano solo i Dodici, Gesù aveva chiesto a loro: «Ma voi? Chi dite che io sia?» (Mc 8,29) ovvero: “Chi sono io per voi?”.
Pietro è il primo a rispondere, ma non con la testa, ripetendo a memoria la formuletta imparata in qualche astratto catechismo. Lui parla dalla passione del suo cuore: «Tu sei il Cristo!», “Tu sei il mio amore, sei il mio tutto!”. Subito dopo Gesù parla della propria croce, Pietro allora «lo prese in disparte e si mise a rimproverarLo». Adesso che tutti sanno che Dio è il suo amore, Pietro se lo vuole proteggere. Si metterà davanti per fargli da scudo: nessuna sofferenza, nessun rischio per Gesù. E Gesù, rimproverandolo, gli insegna che all’amore non si può comandare: all’amore si va dietro, si sta dietro: «Va’ dietro a me, Satana! – gli aveva detto con forza – perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (8,33). Non teme, Gesù, di dire al suo amico pescatore che ha la faccia di Satana quando parla così, come uno che vuole salvare se stesso. Pietro a Lui: “Mi metto davanti io, Tu vieni dietro a me”. Gesù a Pietro: “Torna al tuo posto: è affare mio guidarti. Lascia che ti faccia strada Io”.
Chissà se Pietro credeva a Satana: che non si creda in lui, è proprio quello che il Diavolo spera.
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (8,34-35).
Ognuno ha una croce, cioè ognuno ha uno strumento con cui può impedire a se stesso la vertigine del conoscere solo se stesso. Questo strumento di esecuzione ognuno di noi ce l’ha e lo conosce solo lui. Allora se ognuno porta la propria croce e segue Gesù, allora lui ritrova la vita, ma se invece uno continua ad essere preda di questa vertigine di se stesso, percorre una via di morte. In realtà anche se guadagnasse mondanamente il potere, la ricchezza, il successo, in realtà cammina verso una strada mortifera, i cui effetti devastanti sono all’ordine del giorno della cronaca.
Se, invece, nella sequela di Gesù, impariamo a riconoscere gli altri, sappiamo avere con loro dei rapporti di umanità continua, di amore, noi nella nostra vita riceveremo davvero felicità, bontà, riceveremo il senso per cui val la pena vivere, imboccheremo una strada di vita piena, non di morte, nonostante ci venga chiesto di morire a noi stessi.
Perché la croce è la forma dell’amore vero, dell’amore pasquale, con cui ci si dona e si dona vita agli altri; aldilà di ogni visione romantica e falsata dell’amore, dove, l’amore dura finché tutto va bene, e ciò che conta è che il proprio io si senta appagato.
don Andrea