Insieme

Nulla preferire all’amore di Cristo

Il brano evangelico di questa domenica contiene l’ultima parte del discorso missionario rivolto da Gesù ai suoi discepoli, ai dodici inviati ad annunciare il regno dei cieli ormai vicino (Mt 10,7) e a far arretrare il potere del demonio (10,1). Diverse parole di Gesù sono state raccolte qui da Matteo, parole dette probabilmente in circostanze diverse ma che nel loro insieme determinano il contenuto e lo stile della missione, e preannunciano anche le fatiche e le persecuzioni che i discepoli dovranno subire, perché accadrà loro ciò che Gesù stesso, loro maestro e rabbi, ha sperimentato (Mt 10,24-25).

Ma cosa mai potrà dare al discepolo la forza di resistere di fronte a ostilità, calunnie, contraddizioni che minacciano anche le relazioni più comuni e quotidiane, quelle familiari? L’amore, solo l’amore per il Signore! Ecco perché Gesù ha fato risuonare delle parole forti, che ci scuotono: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me». Questa sentenza di Gesù può sembrare innanzitutto una pretesa inaudita e irricevibile, ma è una sua parola autentica che va compresa in profondità. Gesù non insinua che non si debbano amare i propri genitori o i propri figli – come d’altronde richiede il quinto comandamento della legge santa di Dio – e neppure esige un amore totalitario per la sua persona, ma richiama l’amore che deve essere dato al Signore, amore che richiede di realizzare la sua volontà. Gesù si rallegra quando ciascuno di noi vive le sue storie d’amore e quindi sa custodire e rinnovare l’amore per l’altro – coniuge, genitore o figlio, o prossimo –, ma chiede semplicemente che a lui, alla sua volontà, non sia preferito niente e nessuno.

Seguire Gesù, infatti, può destare l’opposizione proprio da parte di quelli che il discepolo ama, può far emergere una divisione, una differenza di giudizio e di atteggiamenti rispetto a Gesù stesso. In queste situazioni il discepolo, la discepola, dovrà avere la forza e il coraggio di fare una scelta e di dare il primato a Gesù, alla sua presenza viva e operante.

Come dice la Regola di San Benedetto (4,21), “nulla preferire all’amore di Cristo” è ciò che caratterizza la sequela cristiana, la quale non si esaurisce nell’accoglienza della dottrina del maestro né nelle osservanze del suo insegnamento. E’ amore, amore per Lui, per la sua persona, fino a smettere di riconoscere solo se stessi o gli amici, o quelli che amiamo naturalmente, e con i quali viviamo le nostre relazioni. E’ aprirsi all’Altro e agli altri.

Dobbiamo essere sinceri: questa istanza decisiva nel cristianesimo è dura, soprattutto oggi, in un tempo e in una cultura che rivendicano la realizzazione dell’individuo, che ci chiedono l’affermazione di sé, sopra, senza o contro gli altri. Ma questo tempo in cui è decisamente finita la fede di popolo, dove si diventava cristiani non per convinzione, ma per convenzione, è un tempo propizio per il rivelarsi dei veri credenti: coloro che scelgono di diventare cristiani, che decidono di amare Cristo, che optano per abbracciare una vita come la Sua e di farla diventare la propria vita. Così che non solo un adulto, ma anche un ragazzo o un giovane che abbia i genitori lontani dalla fede, possa – per amore di Gesù – fare una scelta personale per Lui e decidere, anche contro le abitudini di quelli di casa, di seguire Lui.

Il secolo scorso ha contato più martiri in assoluto rispetto ai tempi delle persecuzioni dei primi secoli dell’era cristiana: testimoni che hanno rivelato con il sangue il loro amore per il Signore e nulla vi hanno anteposto. Ma quei martiri e anche i martiri cristiani odierni sono lontani da noi. Occorre dunque domandarsi se oggi ci siano in mezzo a noi anche solo un piccolo gruppo di credenti capaci di testimoniare una fede di scelta, capaci di accogliere i poveri, di rendere vicini i lontani. Capaci, cioè, di scelte contro la mentalità comune, che rivelano quanto amore hanno per Cristo e – nel suo nome – per l’umanità bisognosa. E nulla preferiscono a questo amore. E noi? In chi ci riconosciamo? Abbiamo già fatto nostra con una decisione questa fede che abbiamo ricevuto per convenzione?

don Andrea