Insieme

La Chiesa simbolo di appartenenza

Una domenica prima del mandato missionario che celebreremo domenica prossima, giornata missionaria mondiale, la Chiesa ambrosiana ricorda la dedicazione del Duomo di Milano, in cui riconosciamo la chiesa madre da cui parla il vescovo, da cui gemmano le chiese parrocchiali, come “casa tra le case” (= è il significato di parrocchia), che rendono visibile nel segno dell’edificio, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo.

E’ un simbolo di appartenenza, dunque, la chiesa, per riconoscerci per ciò che siamo: esseri fatti per la relazione, essere popolo di Dio. Ma la forma della parrocchia è in crisi di identità. Ormai anche in Italia. Da decenni. Non è una crisi strutturale o istituzionale, come potrebbe sembrare.

Nel passo della Prima lettera ai Corinzi che ci viene proposto questa domenica, san Paolo ci ricorda che noi – i credenti battezzati – siamo “edificio di Dio” (1Cor 3,9). Dunque la Chiesa non è innanzi tutto l’edificio a cui si riferiscono le abitazioni di un territorio, ma le persone-edificio che, radunandosi per celebrare i misteri della Salvezza, si riconoscono fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre, in Gesù suo Figlio che ci ha salvati.

E’ questa la Chiesa in crisi: quella delle persone-edificio, che non sanno più riconoscersi parte di questo corpo che è la comunità dei credenti, il luogo dove si manifesta la presenza di Dio.

E’ l’uomo ad essere in crisi. Il suo cuore, inteso come lo racconta la Bibbia, quale centro di tutto il suo essere, è ferito e malato. Ma malato di che male? Da cosa ha bisogno di essere salvato e guarito? La malattia che affligge l’uomo contemporaneo è la filautia: l’amore centrato sull’io.

Creato come essere relazionale, l’uomo-persona, aperto all’incontro con l’altro e con Dio, a causa del peccato che rovina e rompe le relazioni è diventato uomo-individuo.

Creato a immagine di Dio, l’uomo, a causa del peccato, perde la dimensione del divino, e gli rimane solo la dimensione naturale, quella di creatura: la sola verso la quale ora può rivolgere attenzioni.

Centrato nei suoi bisogni che rivendica e pretende, cerca di realizzare la propria sopravvivenza da se stesso e dalle proprie forze.

Non ci accorgiamo di quanto spesso capiti di parlarci l’uno sopra l’altro, alzando la voce fino a gridare, senza più saperci ascoltare?

E non accade che nel fare una cosa insieme, ciascuno bada al suo compito, perdendo di vista la buona riuscita dell’insieme?

O che si collabori ad una iniziativa per l’affermazione personale di sé stessi, il desiderio di conquista e l’attribuzione del merito?

E non succede che partecipiamo alla vita comunitaria allo stesso modo in cui andiamo al supermercato?

Siamo lì in tanti, ma siamo lì per prendere ciò che interessa a noi… e se non c’è nulla che ci interessa, non ci andiamo.

Negando Dio (o vivendo senza di lui, senza porsi neanche la questione della sua esistenza) l’uomo-individuo si chiude all’azione dello Spirito, rendendosi impermeabile al suo amore. E questa tentazione, il rischio di ammalarsi, di vivere la fede in modo individualistico, rimane anche per l’uomo credente, nonostante sia già un peccatore salvato.

Perché? Nicola Cabasilas, autore spirituale greco del 1300, dice:

“Ci sono tre ostacoli che separano l’uomo da Dio: la natura, il peccato – cioè una volontà corrotta dal male – e la morte. “Il primo fu tolto di mezzo dal Salvatore con la sua incarnazione, il secondo con la sua crocifissione, poiché la croce distrusse il peccato […] infine con la sua risurrezione abbatté l’ultimo muro, bandendo dalla natura umana la tirannia della morte. Perciò, da allora, non c’era più per noi alcun impedimento a partecipare alle sue grazie, tranne il peccato”.

Ecco perché la chiesa-edificio è un simbolo di appartenenza: riconoscersi parte dell’“edificio di Dio”, lasciarsi riunire in un solo corpo dallo Spirito Santo è il modo per contrastare l’unico dei tre ostacoli che dipende anche dalla nostra libertà: quello del peccato.

Nella comunità aperta all’ascolto della Parola e all’azione dello Spirito, si impara a contrastare l’amore centrato sull’io per ritrovare la vera identità del proprio io-persona, quella della comunione, praticando l’amore rivolto al Padre e ai fratelli.

don Andrea