Insieme

Andare, custodire, guidati da un sogno

Il Vangelo di questa domenica racconta di una famiglia guidata da un sogno. Oggi noi, a distanza, vediamo che l’attore principale delle notti della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe non è Erode il Grande, non è suo figlio Archelao, ma un uomo silenzioso e coraggioso, concreto e sognatore: Giuseppe, il disarmato che è più forte di ogni Erode. E che cosa fa Giuseppe? Sogna, stringe a sé la sua famiglia, e si mette in cammino. Giuseppe, nei Vangeli, non è uomo di parole, ma di azioni. Nel brano di oggi sono tre: seguire un sogno, andare e custodire. Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per ogni individuo; di più, per le sorti del mondo.

Sognare è il primo verbo. È il verbo di chi non si accontenta del mondo così com’è. Un sogno, caduto dentro le ferite della storia, come un seme caduto tra una zolla e l’altra di un campo, che poi fiorisce, è sufficiente a modificarne il corso. Giuseppe nel suo sogno non vede immagini, ascolta parole, è un sogno di parole. È quello che è concesso a ciascuno di noi, noi tutti abbiamo il Vangelo che ci abita con il suo sogno di cieli nuovi e terra nuova. Nei Vangeli Giuseppe sogna quattro volte: ogni volta l’angelo porta un annunzio parziale, ogni volta una profezia breve, troppo breve; eppure per partire e ripartire, Giuseppe non pretende di avere tutto l’orizzonte chiaro davanti a sé, ma solo tanta luce quanta ne basta al primo passo, tanto coraggio quanto serve alla prima notte, tanta forza quanta basta per cominciare.

Andare, è la seconda azione. Ciò che Dio indica, però, è davvero poco: indica la direzione verso cui fuggire, solo la direzione; poi tocca alla libertà e all’intelligenza dell’uomo, alla creatività e tenacia di Giuseppe. Tocca a noi studiare scelte, strategie, itinerari, riposi, misurare la fatica. Il Signore non offre mai un prontuario di regole per la vita sociale o individuale, lui accende obbiettivi e il cuore, poi li affida alla nostra libertà e intelligenza.

Il terzo verbo è custodire, prendere con sé, stringere a sé, proteggere. Abbiamo il racconto di un padre, una madre e un figlio: le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia. È successo allora e succede sempre. Dentro gli affetti, dentro lo stringersi amoroso delle vite, nell’umile coraggio di una, di tante creature innamorate e silenziose. Allora vediamo il Vangelo di Dio quando vediamo un uomo e una donna che prendono su di sé la vita dei loro piccoli; è Vangelo di Dio ogni uomo e ogni donna che camminano insieme, dietro a un sogno. E – sconcertante a dirsi – è Vangelo di Dio ogni uomo e ogni donna che, traditi nell’amore dal coniuge, o incompresi dai figli, rimangono fedeli a se stessi e al loro compito di genitori e educatori, come Gesù sulla croce, incompreso, ferito, abbandonato e tradito.

Guardare alla santa famiglia di Nazareth non è per avere un modello di perfezione da imitare e raggiungere, roba solo per i più “bravi” e virtuosi; ma per intravvedere il “come” disporsi per accogliere il sogno del Vangelo, custodirlo, e prendersene cura perché germogli in una vita nuova.

Il Vangelo non è appannaggio di preti, come se solo loro ce lo possano insegnare.

Io, prete, credo che la Parola di Dio dice cose vere, non perché le ho studiate nei libri di teologia, ma perché ho incontrato – a partire dai miei genitori – sposi e genitori che nel loro modo di amarsi, di educare i figli, di stare dentro alle prove della vita, di spendersi per la comunità, di gioire e provare dolore, di cercare il volto del Padre in quello dei fratelli, mi hanno fatto vedere che è possibile amare e amarsi, come il Vangelo racconta.

Oggi è un’occasione speciale per ricordarci che abbiamo un debito di gratitudine nei confronti della nostra famiglia, quella di origine e quella che abbiamo formato; e verso quella “famiglia di famiglie” che è la comunità cristiana. Debito che possiamo assolvere rimettendo in circolo ogni giorno un po’ del bene che abbiamo ricevuto: nella preghiera di ringraziamento e in quella di supplica al Padre, e nel servizio della carità, dove – guidati dal sogno della parola di Dio e dalla testimonianza di chi ci ha amato – noi ci adoperiamo perché ciascuno, dai piccoli agli anziani, possa scrivere la propria vita non come la storia del dolore, ma come la storia dell’amore.

don Andrea