Insieme

L’amore non è amato

Una volta andava solingo nei pressi della chiesa di Santa Maria della Porziuncola, piangendo e lamentandosi a voce alta. Un uomo pio, udendolo, suppose ch’egli soffrisse di qualche malattia o dispiacere e, mosso da compassione, gli chiese perché piangeva così. Disse Francesco: «Piango la passione del mio Signore. Perché l’Amore non è amato. Per amore di Lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo». Allora anche l’uomo devoto si unì al lamento di Francesco.

(Fonti Francescane. n. 1413)

Francesco possedeva l’amore di Cristo e l’amore per il Cristo. E consolato da questo Amore piangeva e soffriva per quanti non conoscono l’Amore di Dio. Piange ancora, san Francesco, perché l’Amore non è amato, è non creduto, rifiutato. Ancora oggi.

Segno eloquente di questo rifiuto dell’Amore è l’abbandono del sacramento della Confessione. La maggioranza dei credenti praticanti e di coloro che si comunicano abitualmente, non frequentano più il sacramento della Confessione. E’ un fatto epocale: il relativismo di cui è impregnata la mentalità odierna afferma che non esiste nessuna nozione oggettiva di bene e di male, e che l’esistenza di Dio è opinabile al pari di qualsiasi altra idea.

Non è vero che non ci si confessa per senso della privacy (perché dovrei dire i miei peccati a un altro e parlare di quelle cose che per vergogna non riesco a dire nemmeno a me stesso?). Non ci si confessa perché non si crede più nella misericordia di Dio; non si crede più di averne bisogno. Non si ha più coscienza del peccato. Eppure il peccato c’è: e non solo è male, ma fa male. Basta guardare la scena quotidiana del mondo, dove violenze, guerre, ingiustizie, sopraffazioni, egoismi, gelosie e vendette si sprecano.

Il peccato è l’Amore rifiutato, che ha conseguenze non solo su chi lo vive, ma anche sulla società tutta intera, fino a produrre dei condizionamenti e degli intrecci di egoismi e di violenze che costituiscono delle vere e proprie “strutture di peccato” (le ingiustizie sociali, la sperequazione fra Paesi ricchi e Paesi poveri, la fame nel mondo, i migranti non accolti…).

Nonostante tutto, però, il mondo non è cattivo e fare il bene non è inutile. Il bene c’è ed è molto più grande del male; la vita è bella e vale veramente la pena vivere rettamente, per amore e con amore. La ragione profonda che mi fa pensare così è l’esperienza della misericordia di Dio, che faccio in me stesso e che vedo risplendere in tante persone umili: è un’esperienza che ho vissuto tante volte, sia dando il perdono come prete, sia ricevendolo, come uomo peccatore.

Sono anni che mi confesso regolarmente, circa una volta al mese, con la gioia di farlo. La gioia nasce dal sentirmi amato in modo nuovo da Dio ogni volta che il Suo perdono mi raggiunge attraverso il sacerdote che me lo dà in Suo nome. È la gioia che ho visto tanto spesso sul volto di chi viene a confessarsi: non il futile senso di leggerezza di chi “ha vuotato il sacco”, ma la pace di sentirsi bene “dentro”, toccati nel cuore da un Amore che sana, che viene dall’alto e ci trasforma. Il perdono ricevuto e dato è sorgente di una pace impagabile e di una vita rinnovata.

In questa domenica, detta “della divina clemenza”, e nella prossima, detta “del perdono”, la liturgia ci offre due vangeli che narrano di Gesù che si avvicina all’umanità ferita dal peccato per rivelare il volto di un Dio che conosce come nessuno la nostra condizione umana e le si fa vicino per liberarla dal male e per annunciarle una notizia inedita: l’Amore del Padre.

L’itinerario quaresimale, a cui queste due domeniche ci introducono, ci porterà alla sorgente dell’ “Amore non amato”: la croce su cui Gesù morente è segno di come sia possibile rifiutare l’Amore, non comprenderlo, tradirlo. Ma allo stesso tempo è segno di quanto l’Amore di Dio Padre sia capace di farsi vicino e di rigenerarci a vita nuova: si fa trovare e incontrare proprio dentro l’esperienza del rifiuto dell’Amore, che è il nostro peccato e la causa della nostra intima infelicità, e ci conduce con Gesù risorto, in una vita nuova.

E’ alle parole di questa nota preghiera che lascio esprimere la verità della vita rinnovata dalla grazia del perdono:

Signore, fa’ di me uno strumento della Tua pace.
Dove è odio, che io porti l’amore.
Dov’è offesa, che io porti il perdono.
Dov’è discordia, che io porti l’unione.
Dov’è errore, che io porti la verità.
Dov’è dubbio, che io porti la fede.
Dov’è disperazione, che io porti la speranza.
Dove sono tenebre, che io porti la luce.
Dov’è tristezza, che io porti la gioia.
Maestro, fa’ che io non cerchi tanto di essere
consolato quanto di consolare,
di essere compreso quanto di comprendere,
di essere amato quanto di amare.

don Andrea