Insieme

«Grazie !»

Carissimi amici e fratelli di questa Comunità Pastorale “San Carlo Borromeo”, mi accingo a scrivere queste poche, ma doverose riflessioni, non senza turbamento e con sentimenti contrastanti. Ai più sembrerà ovvio vivere questo momento di passaggio con le emozioni a fior di pelle. In parte lo è anche per me, perché di cambi di parrocchia ne ho già fatti diversi ed anche questo è pur sempre un cambio di parrocchia. E così, come dice il proverbio, “si sa quel che si lascia, ma non si sa quel che si trova”…

In realtà, però, questo passaggio è del tutto singolare, così come è stata singolare la mia presenza in questa Comunità. Nonostante i nostri capi abbiano cercato di far apparire come se tutto fosse al suo posto, in realtà, come ho più volte ribadito in diversi contesti, io dovevo stare a Corenno in una sorta di esilio dorato. Più o meno come quello di Galileo nella bellissima villa di Velletri; ma pur sempre di esilio si trattava nel mio e nel suo caso…

E’ per questo motivo che in questo momento il mio sentimento dominante è quello di una profonda riconoscenza. Non nascondo che, i primi tempi, mi faceva molto soffrire il non poter mettere a tema la drammatica situazione in cui mi trovavo; così come lo scarso interesse della Comunità ecclesiale nei riguardi del libro che ho scritto sull’argomento. D’altro canto è anche vero che voi non avevate vissuto tutte quelle vicende e, forse, non potevate neanche avere un’idea della loro portata.

Detto ciò, non posso non ringraziarvi per avermi accolto e forse anche sopportato con le fatiche di questi tre anni e mezzo.

In questo quadro del tutto anomalo e certamente non augurabile a nessun prete, porto il peso di non aver potuto dare il meglio di me stesso, per l’evangelizzazione di questo territorio. Come sempre, col senno di poi, avrei potuto fare molte cose. Realisticamente non so come e che cosa avrei potuto fare di meglio, vista la mole di problemi che avevo da gestire al di fuori di questa Comunità Pastorale.

Dentro questo quadro, confuso e complesso ad un tempo, mi permetto di lasciarvi un compito, che è anche il ricordo di ciò che io cerco ancora di fare. Il compito è quello di rendersi conto che noi Chiesa siamo il Corpo di Cristo vivente nella storia. Pertanto il preoccuparci di come siamo Chiesa, della qualità evangelica dei nostri rapporti all’interno della Comunità cristiana, non è qualcosa di secondario e facoltativo, rispetto alla nostra santità personale. Anzi la santità di ciascuno di noi cresce nella misura in cui ci mettiamo in gioco con gli altri fratelli di Fede, per far sì che questo Corpo, la Chiesa, sia sempre più in sintonia con il suo Capo, Gesù. Maggiore è questa sintonia, maggiore sarà la forza evangelizzatrice della Chiesa.

Nella misura in cui il “mondo” riconoscerà una continuità tra Gesù e la Chiesa, allora la Parola che noi annunciamo sarà credibile. Viceversa sarà qualcosa di strano, che poco ha a che vedere con la nostra vita quotidiana, se coloro che l’annunciano sono i primi a non vivere quanto annunciano come Salvezza.
Questa è stata la motivazione profonda delle mie battaglie di questi tre anni e mezzo e continua ad esserlo, visto che buona parte dei problemi non sono stati ancora risolti.

Ma questo spero, sia anche il modo di stare dentro ed a servizio di questo Corpo di Cristo da parte di ciascuno di voi. In questo modo saremo certamente uniti, benché un po’ più distanti geograficamente.

don Marco

Come preti, diversi tra noi per età, indole, sensibilità, esperienze, abbiamo cercato di vivere la fraternità: condividendo pensieri e visioni, le nostre vicende personali, i dolori e le speranze, i pasti, le scelte pastorali; lasciando ciascuno all’altro lo spazio per potersi esprimere con libertà nella comunità, secondo i carismi di ciascuno, arricchendoci vicendevolmente.

C’è chi ha notato e apprezzato questa comunione, costruita nel rispetto delle diversità e a prezzo di qualche incomprensione. C’è anche chi l’ha sofferta con una punta di gelosia… Da parte mia ringrazio Dio Padre per questi anni con te, don Marco: leggo la tua presenza come una delle premure con cui il Padre mi ha accompagnato in ogni mio nuovo inizio: tutte e tre le volte ho trovato ad attendermi almeno una persona con cui condividere i primi passi, che mi accompagnasse da fratello o sorella, per condividere il servizio nella nuova esperienza. Mi auguro che da parte tua, ti sia sentito accolto, un po’ compreso, accompagnato in questo tuo periodo di fatiche, deliziato da certi risotti…

Standoti accanto ho potuto “vedere” la bellezza del mistero pasquale dell’uomo Gesù, morto e risorto, in cui le ferite diventano feconde, perché si trasfigurano in “feritoie”: passaggi per la grazia. Se non posso negare il dispiacere per la tua partenza, sono altresì contento e speranzoso per questa tua nuova missione lecchese, per la quale anche per te il Padre ha preparato persone pronte ad accoglierti. Tra loro alcuni preti amici, che ti salutano così:

L’incarico pastorale che ti è stato affidato è quello di coinvolgere il territorio nell’accompagnamento del mondo dei migranti. E’ decisamente centrato il fatto di riconoscere il bisogno di una figura che metta sulle sue spalle questo compito: dichiarare che è vitale e prendere parola sull’accoglienza dignitosa di donne e uomini di altri Paesi, capire che è un’occasione storica ed unica per rigenerare energie umane (la nostra città/territorio è sempre più sottoposta all’usura del tempo: invecchiamento e meno nascite). Allo stesso tempo prendere coscienza della trasformazione alla quale siamo sottoposti. Non siamo nuovi a questo fenomeno. Siamo già alle seconde/terze generazioni ma ci sembra di essere ancora in una fase non di riconoscimento e di parola libera e generatrice. Ora anche la chiesa che è a Lecco dice ad alta voce questa centralità indicando e destinando un suo figlio alla cura pastorale di queste persone. Leggiamo nella tua venuta a Lecco questa intenzione della tradizione ambrosiana: scommettere sulla vita delle persone cominciando dalle più fragili”.
(dalla lettera aperta a don Marco di p. Angelo Cupini e altri)

Mi auguro che anche noi credenti della comunità pastorale in queste terre dell’Alto Lario sappiamo continuare a “scommettere sulla vita delle persone cominciando dalle più fragili”, come tu, in breve tempo, con la tua passione, ci hai testimoniato.

don Andrea