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Cammino Sinodale : un “calcio al tavolo” assestato dallo Spirito Santo

L’avvio del Sinodo sulla sinodalità, avvenuto il 9 ottobre scorso, c’invita a porre la domanda su che cosa significa oggi essere Chiesa e quale sia il suo senso nella storia.

A questa domanda non si può rispondere con una definizione da vocabolario, universale e valida per tutti allo stesso modo, per diversi motivi. Uno sta nella carta di identità del Dio cristiano: Dio Padre agisce nella storia con libertà, distribuendo i suoi doni come vuole, quando vuole e a chi vuole. Un altro sta nel fatto che lo Spirito Santo è Colui che “riunisce in un solo corpo” (preghiera eucaristica) tutte le Chiese e tutti i credenti, ma allo stesso tempo è Colui che suscita nella Chiesa e nei credenti, una fantasiosa varietà di doni (seconda lettura di questa domenica, dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi, 12,1-11). Potremmo illustrare molti altri motivi, ma questi già bastano per affermare che l’ “unità” non può mai essere ridotta a “uniformità”!

Alla radice della Chiesa c’è l’unità, che fiorisce nella varietà di forme che la comunità ecclesiale assume, per iniziativa dello Spirito e per la libertà personale dei fedeli, che però vivono sempre nell’unità della loro radice di comunione. E’ una questione vitale. Non si deve immaginare la Chiesa come una costruzione di mattoncini diversi che si incastrano tutti al punto giusto. Questa è un’immagine meccanica, non vitale, della comunione. Rende meglio raccontarla come una relazione sinfonica, di note diverse che insieme danno vita a una composizione. O meglio ancora: non proprio una sinfonia dove le parti sono già scritte e assegnate, ma piuttosto un concerto jazz, dove si suona seguendo l’ispirazione condivisa nel momento, suscitata dallo stesso Spirito. “A tal punto che – diceva il vescovo Angelo Scola quando era patriarca di Venezia nel 2007, quanto più una comunità è differenziata, quanto più numerosi sono i doni che vivono al suo interno, tanto più è completa, vitale. L’unità è garantita dalla sinfonia delle differenze”.

“Se lo Spirito Santo è in azione, – ha detto una volta papa Francesco – allora «dà un calcio al tavolo»”. L’immagine è un implicito riferimento al vangelo di Matteo (21,12), quando Gesù «rovesciò i tavoli» dei mercanti del tempio. “Per fare sinodo – proseguiva il papa – occorre cacciare i mercanti e rovesciare i loro tavoli. Ma chi sono oggi i «mercanti del tempio»? Solo una riflessione intrisa di preghiera potrà aiutarci a identificarli. Perché non sono i peccatori, non sono i lontani, i non credenti, e neanche chi si professa anticlericale. I mercanti sono sempre prossimi al tempio, perché lì fanno affari, lì vendono bene. I mercanti ispirano l’immobilismo delle soluzioni vecchie per problemi nuovi, cioè l’usato sicuro che è sempre un rattoppo”.

Se alla domanda “che cosa significa oggi essere Chiesa e quale sia il suo senso nella storia” non si può rispondere con una definizione da vocabolario, universale e valida per tutti allo stesso modo, allora il primo soggetto della sinodalità non può che essere la chiesa locale, quella che nasce dal basso, dai battezzati sparsi nelle varie parti del mondo. Il concilio Vaticano II, ha riflettuto sull’identità del “popolo di Dio”, affermando che prima di qualunque distinzione di ruoli, di compiti, di servizi nella Chiesa, c’è la pari dignità di tutti i battezzati. Questa affermazione preziosa, rimanda all’unità; rimanda all’ascolto reciproco come dimensione essenziale della comunità cristiana; rimanda al fatto che ciascuno che si metta in ascolto dello Spirito ha diritto di parola e di essere ascoltato, anche se è “solo” un semplice “battezzato”.

Ora che papa Francesco mette la questione della Chiesa nelle mani delle chiese locali (cioè nelle nostre mani), non ci resta che chiederci se lasciare che lo Spirito Santo dia «un calcio al tavolo» e ci risvegli dal nostro torpore di questo tempo in cui è finita l’epoca cristiana, o se rimanere indifferenti alla voce dello Spirito che ancora ci chiama per ridarci vita.

don Andrea