Insieme

Il buon combattimento della fede e la porta stretta

Il Vangelo di questa domenica è così provocante nella chiarezza e durezza della sua verità che volentieri affido la riflessione alla sapienza di un anziano e assiduo frequentatore della Parola di Dio, il monaco Enzo Bianchi.

Gesù appare qui il profeta che ammonisce, avverte, minaccia – come faceva il suo maestro Giovanni il Battezzatore –, per scuotere gli ascoltatori e porli davanti alle esigenze del Regno, nel quale si può entrare attraverso un “giudizio” che non guarderà ai comportamenti esterni, seppur religiosi, degli esseri umani, ma all’aver accettato di essere o meno conosciuti dal Signore.

La porta stretta non vuole impedire l’entrata, ma rivela che solo chi sa lottare, una lotta dura, che è “il buon combattimento della fede” (1Tm 6,12) contro un avversario, un oppositore, un potente che è Satana. Solo chi sa che la meta è il regno di Dio, potrà oltrepassarla. Occorre perciò essere equipaggiati e vigilanti per arrivare in tempo, prima che la piccola porta, ultima possibilità, sia chiusa. Perché come in ogni città, una volta calata la notte, vengono chiuse prima la grande porta, poi la porticina: allora nessuno potrà più entrare…
Gesù ammonisce dunque gli ascoltatori: contesta la verità di una vicinanza e di una comunione vantata da quelli che sono respinti, perché giudica che durante la vita non hanno operato la giustizia, sono stati dei malfattori, anche se formalmente ascoltavano la predicazione di Gesù ed erano ospiti alla sua tavola (la frequentazione della sua Parola e dell’Eucaristia).

Questo è un ammonimento che noi cristiani, che ci diciamo discepoli e discepole di Gesù, non prendiamo sul serio. Purtroppo i nostri gesti liturgici, l’appartenenza alla parrocchia, la frequentazione dei pastori posti dal Signore nella sua chiesa, sovente possono diventare sicurezze false, che quasi ci impediscono di chiederci se quotidianamente siamo operatori di bene, cioè abbiamo un comportamento che nutre il bene comune, oppure operatori di male, con parole che dividono e calunniano, con sentimenti di inimicizia e di orgoglio, con comportamenti omissivi, che non fanno il bene e contraddicono la carità. Magari non commettiamo il male seminando violenza, ma basta che pensiamo al nostro comportamento omissivo, a quando non vediamo l’altro e non ci impegniamo per colui che è nel bisogno, affamato, assetato, immigrato, nudo, malato, in carcere (cf. Mt 25,31-46)… Noi crediamo di essere nell’intimità con il Signore, assidui alla sua presenza, ascoltatori della sua Parola, nutriti dai sacramenti, ma domandiamoci se a questo corrisponde ciò che il Signore chiede come impegno, urgenza, amore verso gli altri.

A me e a voi, lettori, ricordo che questo vangelo chiede a ciascuno di noi un discernimento: sono solo un uomo religioso, che si dice cristiano, che prega, che partecipa all’Eucaristia, ma in realtà ho una vita non conforme alla volontà del Signore Gesù, oppure sono uno che andando alla preghiera, nutrendomi della Parola e dell’Eucaristia come un mendicante che attinge da esse forza, tenta ogni giorno di essere un discepolo del Signore, tenta di essere coerente tra ciò che pensa, dice e vive quotidianamente, invocando come un mendicante la misericordia del Signore?

Queste parole di Gesù ci chiamano dunque alla conversione, alla consapevolezza dei nostri peccati e a non sentirci garantiti da appartenenze o gesti religiosi: se abbiamo ricevuto doni da parte di Dio, questi non sono privilegi ma piuttosto responsabilità. Per questo “i primi”, se non coerenti con la buona notizia del Vangelo, diventano gli ultimi e tra gli ultimi alcuni diventano primi, perché hanno cercato soprattutto di entrare nel Regno attraverso la porta che è Cristo (cf. Gv 10,7.9), porta sempre aperta, dalla sua venuta tra di noi fino a “oggi” (Eb 3,13), e sempre “porta di misericordia”, “porta che fa grazia”, seppur a caro prezzo.

Enzo Bianchi