Insieme

Avvento: nell’assurdo, forti di speranza

Nei quattro Vangeli non ricorre mai la parola “speranza”. La troviamo nei racconti degli Atti degli apostoli e nelle lettere di Paolo: è una parola che nasce con la Chiesa che nasce. E’ la virtù per il tempo del pellegrinaggio, della profezia, dell’attesa del ritorno del Signore.

L’epoca in cui viviamo è chiusa da una tenaglia, in una morsa i cui denti sono il fondamentalismo e il nichilismo.
I fondamentalisti di tutte le religioni e di tutte le culture, sono degli infelici, persone tristi che vedono attorno a sé un mondo corrotto e degradato. Sognano di purificarlo con ogni mezzo, anche uccidendo. Sant’Agostino dice che i
fondamentalisti stanno male al mondo: vedono ovunque il trionfo della morte, per questo sono disperati.

Dall’altro lato ci sono i nichilisti, quelli per i quali niente vale, tutto si equivale, destra e sinistra è lo stesso, la società va senza meta, la realtà è soltanto questo che si vede, conto solo io e con la mia morte finisce tutto. Hanno creato l’epoca delle passioni tristi e del pensiero debole. Stanno male anch’essi, consumano senza eroismo il mondo, e hanno come unisco scopo di ritardare il loro invecchiamento e di pensare di non pensare, divertendosi o illudendosi.

“La vita non è che una favola sciocca raccontata da un idiota, che si agita sulla scena, piena di rumore e furore, ma che non significa nulla”. Una definizione bella e disperata, questa di Shakespeare.
“Le madri partoriscono tutte a cavallo di una tomba”, scrive Brecht, drammaturgo tedesco del secolo scorso: quasi a dire che la vita è risucchiata dalla morte, che cammina sempre sul ciglio dell’abisso, sull’orlo dell’assurdo.

L’abbondante parola di Dio di questa prima domenica di Avvento, rischia di farci diventare sordi se ci lasciamo travolgere, come da una frana, dalla sproporzione di parole dedicate a descrivere la rovina, il degrado della vita e del
mondo devastati dal male, e l’inesorabile epilogo della storia che volge verso il trionfo dell’iniquità e della morte. Il trionfo dell’assurdo.

Nel rimbombo di queste parole ritroviamo i racconti e le immagini delle catastrofi odierne, che si susseguono incutendo timore, e infondendo disperazione nell’umanità che stenta a spingere lo sguardo aldilà del domani.

La parola “assurdo” ha la stessa radice di “sordo”. Entra nell’assurdo chi è sordo, chi non sa ascoltare. Esce dalla sordità e dall’assurdo chi invece ascolta. In mezzo ai tanti annunci di sventura e alle tragiche descrizioni, nella Parola di Dio di questa domenica si trovano frammenti di speranza:
Ascoltatemi: la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione
(Is 51,4-8 – prima lettura);
“vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare, (…) voi, fratelli amati dal Signore, Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza”
(2Ts 2,1-14 – seconda lettura);
“Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo.”
(Mt 24,1-31 – Vangelo).

Se come credenti vogliamo spezzare la morsa della tenaglia, e cogliere e accogliere la speranza che viene seminata dalla Parola di Dio nel campo martoriato degli assurdi in cui vive l’umanità, dobbiamo ripartire da ciò che le due culture
egemoni del secolo scorso – che ancora fanno scuola in questo scorcio di nuovo millennio – hanno dimenticato: ripartire dall’altro.

Molti oggi vivono cercando di cogliere ciò che il mondo e gli altri possono dare a loro:
“gli altri mi devono capire, devono entrare nei miei problemi, aderire a me e rispecchiare le mie attese…”
Errore! Così si finisce per ammalarsi.

La via della vita passa dal pensare a ciò che io posso dare, a ciò che io posso realizzare nella mia vita da donare agli altri. La speranza ricomincia dall’Altro:
“Dio – afferma il teologo Karl Barth – è il Totalmente Altro, che viene perché la storia diventi totalmente altra da quello che è”.

La vita non è – come l’uomo di oggi pensa – l’occasione per un compimento individuale, per la realizzazione personale. E’ l’occasione per dare qualcosa di sé agli altri. “Ci si salva solo insieme”: insieme a quell’Altro che è Dio, insieme a quegli altri che sono gli altri. AttendiamoLo insieme. Attendiamoci: prendiamoci cura gli uni degli altri.

Diamoci da fare: accesi dall’antica speranza sempre nuova, che è la virtù per questo tempo di pellegrinaggio che è la vita, che ai credenti fa dire parole e compiere gesti profetici, nell’attesa del ritorno del Signore.

don Andrea